Il lento tuffarsi delle madri sulle onde tarde pomeridiane…; perché nessun posto sa spiegarci meglio l’essenza d’un essere umano, con più intimità, come riesce a fare davanti a noi la vita balneare.
Il corpo nel suo stato di ozio non è camuffato da nessun vestimento e i piccoli gesti s’ingrandiscono all’infinito.
Gli sguardi che non sono diretti ad accompagnare un’azione precisa, l’espressione del corpo che non è rivolto a sbrigare le attività di tutti i giorni.
È come emettessero essi una luce propria, un riverbero indistinto delle cose del quotidiano, ma che ce lo fa vedere più dal loro lato interno che da quello esterno; come quella luce fiacca che di alcuna notte si vede emettere dal lato della luna non illuminato, e che in verità, certo, non è altro che il riflesso della luce rimandata dalla terra stessa per una via indiretta.
Una luce che a differenza dell’altra al cui aspetto ci siamo abituati non trasborda, per via della sua intensità, i contorni della sua forma, e ci fa capire appunto per questo con più esattezza la corporeità dell’astro stesso, il suo vero essere di rocce e terra.1
Così vedevo davanti al mio occhio interno la camera in cui si svolge la cena in loro famiglia, dal tetto basso, e tra i muri spessi arrotondati agli angoli, imbianchiti nella maniera dei paesi del sud, la grande tavola di legno. Ma forse questo, più che altro, la vedevo nascere spinto dal mio desiderio di romanticismo, per quanto, però, non tradisse la mia vena turistica e una profonda invidia per una vita regolare, naturale, come mi sembrava dovesse essere.
1 — Oppure come i fotografi che usano di intenzione le pareti ruvide e neglette per far risplendere ancora di più la modella che vi si posa davanti.