Nel mentre mi stavo meravigliando su quale equazione matematica potevano basarsi tutte quelle linee sinuose, argute, che si avvicendavano nel suo viso. Liberatosi il suo posto lasciavano un vuoto non più suddiviso dai loro disegni. Del resto, quelle linee, che in un’altra avrebbero potute sembrare un capriccio, visto la maniera in cui s’abbandonavano al loro gioco, erano in questa smentite dalla vestaglia povera (di una stoffa nera, infima, malmessa sul suo corpo magro) e quel lieve disordine dei suoi capelli che insieme denunciavano l’appartenenza ad un ceto sociale piuttosto basso.
Ma essendo tutt’altro che un difetto, conferivano alla fanciulla, come ad una piccola Tess dei d’Urberville, una serietà (concisa, quasi nobile) in quanto esse [le linee] con tanta severità resistevano a questo suo destino: propagando solo bellezza.
Non meno lontana, comunque, era questa loro1 rivincita precaria sulla condizione della faniculla in società, – che probabilmente non poteva mai essere direzionata ad essere la moglie di un ricco banchiere o industriale, o a ricevere altri doni della società, i quali per lei, del resto per motivi di una educazione mancata che gliene avesse indottrinati i mezzi adeguati ad ottenerli, sarebbero raggiungibili solo attraverso il lavoro con le proprie mani –, dal avere alcunché di trionfale, anzi si sapevano sempre minacciate dallo stremare delle forze della ragazza alla fine di una lotta continua. Tutto questo dava il tono greve al suo tipo di bellezza. Ovviamente, nessuna di queste riflessioni giungeva fino alla coscienza della fanciulla stessa che per ora forse non ne presentiva altro che un misterioso senso di solitudine.
1 – Se potessero avere qualcosa come una coscienza delle cose