Succede che vediamo una scarpa «alla Hepburn» in una vetrina e, passando, in un lampo, ci fa connettere a qualcosa del nostro passato; come se attraverso il velours grigio potessimo accarezzare* per una frazione d’un’attimo una parte di questa cosa che credevamo da lungo tempo perduta e introvabile. Qualcosa di effimero come una ballerina di Degas della quale avessimo potuto seguirne, come schizzato, il movimento ma della quale non saremmo stato in grado di individuarne la provenienza – mezza costruita mezza inventata. Sicché quando vi ci avvicinassimo, a fermare lo sguardo più a lungo, ci renderemmo conto che è solo una scarpa, un accumulo di pelle.
* Talvolta sembra che i nostri sensi siano troppo «precisi» per procurarci un sentimento istantaneo, quasi ce lo negassero (i loro stimoli, troppo rozzi, troppo crudeli nella loro prorompente nudità, distruggessero quel sottile legame che ci collegasse al passato per esso necessario); ma nello stesso momento abbiamo bisogno di trovare attraverso delle loro esperienze un’esempio per dar vita ad un’immagine che ci dà la memoria, che lo fa indurire questa sfuggevole materia che è il ricordo, per darle una forma. Come si usa il fuoco che è destinato a distruggere il legno anche (nella sua funzione contraria) per indurirlo attraverso la sua fiamma.
[un gioco scambievole – cui rappresentazione più formale è la metafora]
Perché quei momenti di ricordo li rivestiamo altrettanto di ricordi, ma di quelli non così specifiche ed in un certo senso più attuali che sono le esperienze dei sensi. Dandoli, diciamo, una specie di quotidianità li rendiamo più sopportabili a noi in tutta la loro (misteriosa) inafferrabilità.
Ci sono mille esempi di come funzioni la memoria. Mi sembra il suo metodo preferito sia quello di un trampolino [dal più piccolo al contesto più ampio]. Quando meno lo aspettiamo tira fuori dei punti di riferimento molto precisi e come dicevo prima in qualche modo sempre sensuali. Li usa come sassi che spiccano fuori dalle acque dell’insignificativo e su cui fa balzare i suoi pensieri a farli arrivare a dove vuole. Leggo la parola «vita balneare» in un testo e come mi apparisse subito, inaspettatamente, ma con una chiarezza incredibile, quella stessa parola «balneare» su una targa di legno della quale mi sembra di poter toccare il legno ruvido su cui il sole ha lasciato le sue tracce. E da questa scrittura rimbalza a sua volta e mi si apri una spiaggia e con essa tutti corpi mezzo nudi che vi si stendevano, essendoci stranieri ma nello stesso momento dopo una lunga stagione di ferie conosciuti come il proprio, e ai qual causa vi eravamo rimasti pieno di conflitti, di rinunce, a non poterli toccare, gustare la loro sensazione, dividerci il nostro.