Appena usciva dalla porta riuscivo a riconoscerla, vedendo le sue scarpe cosiddette «ballerine» che erano di un tipo piuttosto insolito, scamosciato, di un colore molto chiaro tono sabbia, che quasi non si distinguevano da un piede giovanile ed elastico se non fosse per il delicato fiocco appena sopra le dita. E per quanto non poteva sembrare un fatto inusuale adesso, lo era invece quando le avevo viste la prima volta, più che una settimana fa, quando si era ancora quasi d’inverno.
Di quelle scarpe, come un fanciullo che cova in sé per tutto l’anno la vigilia di natale, ne aspettavo il ritorno coll’arrivare del caldo (come fosse il loro apparire non già obbediente a qualche moda particolare ma alle eterne necessità stagionali della natura), affinché affollassero di nuovo le strade, ornate di sottili nastri o di fiori; e come tutto mi sembrava triste, quando per una giornata di pioggia e di vento, ritornata sorprendentemente, esse venivano ricambiate coi stivali!1 In quei giorni le strade bagnate che di solito pullulano di fanciulle strepitose mancano, smorte, d’ogni bellezza, e pare che di pari misura, solo inversamente, come gli specchi d’acqua interrotte sull’asfalto vi disegnano i scuri profili degli alberi, ne perdano del tutto il riverbero unificante delle loro bellezze.
Pensavo tra me che sbagliavano i Cinesi ad allacciare i piedi di una donna nel più in alto possibile. (Poiché venissero separate dal suolo, avevo letto una volta.)
Perché che cosa mai potrebbe renderle più divine quelle creature, di queste scarpe basse: nelle quali il piede si propone nudo, ci mostra sul dorso come sporchi arabeschi le sue linee di rosa, bianco e bluastro nei diversi strati dell’epidermide, come quelli sbiaditi sulle mura di marmo ad un palazzo rinascimentale, lasciatevi dalla pressione del passato.
Sicché queste forze di gravitazione da esse non vengono smentite, anzi ne mettono ancora di più in risalto, in quest’età (giacché lo fanno torcere il piede e fanno premere quelle venette quando pure ancora il seno vibra tondo e senza macchie), un’agilità insieme alla fermezza2; fin lì dove si piega, ed esse ce ne lascino, aprendosi sui lati, scorgere appena l’inizio delizioso delle dita? Le quali, come piccoli frutti in una vite stanno racimolati, nella parte appena nascosta, una pressa l’altra. E se di tali piedi non potevo possederne uno, a coprirlo di tenerezze, mi consolavo almeno a vederne di tutti i loro consimili, senza dover rinunciarvi a nessuno. (E se si aveva un po’ di fortuna si poteva pure, nella loro più piccola deviazione al essere completamente scoperto, scorgere un poco del arco adombrato del suolo del piede.)
Quella specie di bellezza altera che le donavano si diminuiva quando in un lembo di conversazione ch’afferravo accolsi l’informazione che ella viveva, in mancanza d’un appartamento proprio, ancora dai suoi. E come lo afferma
quel «penetrare» nella vita di una sconosciuta sia delizio e insieme eterno straccio, dava prova ad avere il potere di cambiarne quei segni esterni, tanto dominanti per la nostra visione prematura. Perché svegliava la mia fantasia, incline a delle fantasticherie insensate; perché in fondo, quale forma, quale piede potrebbe reggere contro il piacere di vederle quelle scarpe tolte e messe accanto ad un letto reale! Questa scena puramente immaginaria, infatti, faceva tornare in me un ricordo creduto svanito (ma come non era vero!) – vivevo ancora in Italia e per di più in rapporto con un’ottima compagna – quando mi capitò di desiderare atrocemente una ragazza semplicemente per il fatto di aver visto durante una nostra visita le sue scarpe messe nel corridoio.Altre volte il mio pensiero tornava ancora più indietro: la timidezza di un gesto sessuale, lo vedo come davanti a me e mi viene da pensare che l’intero, la grandezza della bellezza la vediamo solo nel momento in cui prendiamone i primi contatti, senza che la corrompessimo con quel che siamo, ma solo molto più tardi.
1 – Benché con il ritorno dell’autunno ci si poteva ben consolarsi coll’iniziare di un altro periodo, diverso: quello delle calzature di lana dai toni bruni o neri, toni più di accordo col colorito della natura, delle foglie cadenti. Sotto i loro pallidi riflessi fanno rifiorire la carne della gamba sotto un aspetto del tutto diverso: cioè dell’eleganza (dominio benché non più delle giovanissime che ci esaltano nell’estate).
2 – Il che sa riferire alla fanciulla, specie quando sono un po’ sciupate, quasi un’aria contadinesca: offrendosi come tutti gli indumenti di coloro in una tranquilla modestia e naturalezza, cosa che, credo, fece il
scegliere tra loro i suoi modelli per delle sante divinità. Altre volte invece queste scarpe sono di una colpente eleganza, di camoscio dai toni grigi verdi, e sulla fronte portano fiori stilizzati di nastri raccolti.