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E forse una sorta di «intelletto» o di «ragione artistica» (perché la ragione, si sa, è la prosaica padrona di tutto un mondo di emozioni) gli ha imposto [all’artista] di riunire tutte queste diverse bellezze, di unirle in una, cosa che qualcuno dovrebbe chiamare «stile»; in modo che uno di questi piedi sia uguale a ogni altro bello, eccetera, per non impazzire di fronte a una diversificazione insopportabile, cioè all’impossibilità di non poterle avere tutti.
In definitiva, queste due teorie, quella che promuove una bellezza unica o una «divinità» all’origine di tutte le cose (come forse il seme per le piante) e l’altra che invece suppone una diversità infinita che è unita solo nella mente di chi la percepisce (o ancor più nell’artista che la esprime), sono opposti contraddittori, irriducibili; come in fisica sulla natura della luce: quella che privilegia le particelle contro quella che privilegia le onde.
Ma, per restare all’esempio, la nostra passione personale sarebbe un animale, come una lucertola, immobile ma non per questo inerte; e come questo piccolo animale, pur insignificante nel grande spettacolo e senza la minima preoccupazione per la natura della loro forma, ne gode, si nutre dei potenti raggi del sole che significano vita.
Forse è questa la qualità unica della Bellezza, che possiamo comprendere meglio ed esprimere con più forza quando la mettiamo insieme da piccole parti. È qui che si riunisce la memoria di cui abbiamo tanto parlato:
Sono come piccole schegge di realtà, ognuna diversa dall’altra, ma in definitiva più illuminanti di qualsiasi linea, di qualsiasi flusso che nasca da un singolo pensiero, da un singolo sentimento, da una singola convinzione.
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