Non si ripete l’ispirazione: o la si riesce a buttarla giù in un certo momento, o come un pugile che non si riesce a darlo il kappaò in un dato momento, riprende forze, soltanto dal rendersi conto di perché lo aveva schivato una volta potrebbe rifarlo ogni volta.
Come se la forma ci rivelasse le idee da sé: una volta diventato uno strumento ben accordato qualcuno lo suonasse, facesse venir le note in bella armonia e pieno di senso.
E solo la forma è capace di ispirarci (di stimolarci) in questo senso, a proferire un contenuto. E sbagliano loro che dicono che una forma ispirasse solo ad un’altra forma: ci portasse [ci spingesse] cioè al ‘formalismo’. Anzi è il contrario: il formalismo e frutto di quelli che si fanno uso del contenuto come base della creazione.
[sich die „Fähigkeit zur Form“ aneignen] die Form – der Inhalt
Ritengo la forma di per sé, perciò, una cosa molto svalutata nei tempi di oggi. Di solito il cosiddetto contenuto ne è prediletto come sola valida causa, [per così dire] all’origine delle cose.*
Ma provate ad immaginare uno scrittore: la sua predisposizione per scrivere gli deriva non dalle storie o avvenimenti avidamente letti, ma dalla forma di essi.
Nella sua giovinezza leggeva tanto, quasi per farsi uso, abitudine del suo «strumento»; finché arrivi un giorno in cui lui stesso ci si prova a raccontare un qualsiasi evento, per di più qualcosa vissuto in stessa persona, e non importa quale. E riesce a trarne fuori un qualcosa, trasformandolo in un nuovo contenuto allora.
E non «nuovo» nel senso del critico letterario, dipendente solo dalla «maniera», ma nuovo veramente: un fesso nella porta dal quale si apre una sapienza nuova, un’esperienza nuova, non descritta fino ad allora. Alla fine la forma ve l’aveva incitato, preparato, abilitato per farlo, non le storie che vi apprese in passato e che l’avessero portato ad un qualsivoglia nuovo punto di vista.
*Per assurdo che sembra quest’affermazione: non intendo di parlare del cinismo della pubblicità o del design. Parlo di una «forma eterna», non quella di uno specifico oggetto. Una forma più vasta, ritenuta pure vaga senza una mira particolareggiata.
È perché la forma in noi si mantiene più viva del contenuto. [E la forma, almeno nella lingua italiana, vista come materia prima, esperienza, sapienza, anima è sentita femminile.]
Per un lungo tempo ne ero convinto che la capacità di creare derivasse da due componenti in confidenza una coll’altra: cioè la tecnica (che sarebbe sulla base del trovamento della forma) e l’idea che si sentisse il desiderio di realizzare. Ma adesso ogni giorno di più mi salta chiaramente fuori che la verità sta nel terzo elemento, invece, che per sbaglio ci appare spesso come la soprannominata sintesi di due cose e che invece è una sola: il principio della forma o per così dire della «natura».
Ci è l’incitamento, ci fa sentire la necessità di imparare e, quando fatto, ci rimpiazzerà le idee che avevamo creduto tanto valide all’inizio.
Si chiude il cerchio che ci riporta alla giovinezza in un doppio senso. La forma è l’unico elemento capace di restare nel tempo, si intensifica invece di indebolire (non parlo ovviamente della nostra) e piano piano, rivalutandola, ci accorgiamo che fosse l’unica cosa valida a combatterci.
Un’idea, forte perché si accontenta e realizza la forma veduta alla base di tutto quello che inventiamo, si chiama «visione». L’intelletto non c’entra, se non che per descrivere «post factum» [?] il miracolo.
L’eleganza di una donna che passa sotto una porta, il gesto della sua mano, i capelli annodati, il suo sguardo che si rivolge pazientemente verso di noi.