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Talvolta, o forse sempre quando si manifesta una cosa che chiamiamo bella, più che trovare in essa una mera assomiglianza [un assemblaggio] di due parti (ovvero un’armonia), una accenna all’altra, come in un corpo nobile una certa sporgenza della clavicola (le quali linee si raddoppiano appena percettibile dai muscoli accostati quando il braccio si muove: come doppie ali di una farfalla) ci fa dedurre – e non ci inganna –, una linea a ‘u’ del seno, che per un certo tratto si adegua quasi del tutto nella linea del torace, del petto, prima di elevarsi con una certa rapidità.
Allora è come fosse non la somiglianza in sé, di queste due parti reclusi, che contasse, ma un’armonia ben al di fuori del corpo (o del viso) stesso, – che quasi solo per un momento lo «usassero» –, cioè quella di due cerchi che non necessariamente si intrecciano, ma che sono uno in dipendenza dall’altro. Ammesso questo, una bellezza individuale non esisterebbe.
Das erinnert mich an einen schönen Titel, den ich einmal entworfen hatte, nichts als zwei kleine Wörter aus einer Kursivschrift gesetzt, die ich jedoch an beiden Seiten, durch die Buchstaben selbst hindurch (auf ihrer rechten Seite fügte ich ein drittes kaum angedeutetes Wort hinzu) abgeschnitten hatte: als stammten sie aus einem Satz, einem größeren Text. Die kleine Wortgruppe blieb so an beiden Seiten offen, unabgeschlossen, und bildeten dennoch, gerade auf diese Weise eine bessere Harmonie mit dem ganzen, weißen Raum des Blattes.
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